domenica 7 luglio 2013

Curtain Fall: Alex Marcer

Videogame-Review-Reloaded presenta un nuovo Curtain Fall a cura del blog  La Bottega Del Bardo


Go Nagai, uno dei più celebri mangaka di tutti i tempi, nelle sue storie rifletteva sui superpoteri e le conseguenze che ne possono scaturire. Se ad un normale essere umano venissero dati praticamente dall’oggi al domani delle capacità sovrannaturali, tanto da donargli il potenziale per influenzare realmente il cammino dell’umanità, come si comporterebbe?
Gli americani sono sempre stati piuttosto ottimistici a riguardo, e questa loro attitudine si è riflessa sulla creazione di Superman. Ma poi è arrivato il videogioco, e si è pensato a qualcos’altro, qualcosa di gasante. Qualcosa come… Alex Mercer.

Prototype è un fumettone. Non c’è altro modo per definirlo. Si porta avanti attraverso una storia frammentata, incattivita. Una cospirazione di oltre quarant’anni dove Mercer è solo l’ultimo arrivato e neppure lo sa. Mercer è già morto. Infettato e senza alcuna memoria, ma con dei poteri che definire sovrumani è riduttivo, cerca una via per riottenere i ricordi che gli hanno sottratto. A dispetto del prologo iniziale che serbava solo distruzione arbitraria da parte nostra, per certi versi quasi infantile, qui gli avvenimenti sembrano essere cronologici, rassicuranti. Recuperiamo man mano varie conoscenze, combattiamo l’infezione. Abbiamo una sorella, Dana Mercer, da proteggere. Gli infetti ci vogliono morti perché siamo in cima alla catena evolutiva, i militari uguale perché nella loro ottusità non capiscono che li stiamo aiutando. Ad un certo punto ci inibiscono i poteri e la sofferenza rimane tale per molte missioni. Ma mentre risentiamo della mancanza di possibilità, un dubbio si instilla in noi: abbiamo ancora forza, agilità e camuffamento. Perché? Il siero avrebbe dovuto mettere fuori gioco tutto, non solo gli artigli e le altre figaggini genetiche. Cos’è questa immunità parziale? Il siero era imperfetto, ma il virus dovrebbe essere un corpo estraneo dentro all’ospite, quindi fare distinzione tra capacità umane e non. Invece ci ha lasciato qualcosa di sovrumano. Da questa frase arriva la risposta che non vogliamo darci ma che poi alla fine saremo costretti ad ammettere: non stiamo più interpretando un essere umano infettato dal virus, bensì il virus stesso che ha preso la forma di un uomo.Solo che per quando ci saremo arrivati saremo alla fine del gioco. Abbiamo appreso che la Blackwatch sta cercando di liberarsi di grossi scheletri nell’armadio, mentre Elizabeth Greene, quella donna misteriosa ma cinicamente lucida nella sua follia, vuole solo il virus in diffusione. Il suo pensiero plagiato altro non è che l’ennesima metempsicosi di una mente fredda e calcolatrice, vecchia miliardi di anni, la personificazione della darwiniana Lotta per la Vita (“Struggle for Life”).

E te ne accorgi solo alla fine, che sei stato solo il complice di un gretto egoista che ha tentato di salvare il mondo quando gli è girato il boccino. Mercer per certi versi non è neppure antieroe, è direttamente antagonista, che diventa antieroe perché in giro c’è gente molto peggiore di lui, disposta a sacrificare milioni di anime per insabbiare i loro errori. Dicevamo: è un fumettone, ma un fumettone fatto con criterio ed equilibrio. Nessuno si salva, nessuno ha un ruolo positivo. E’ l’idea dell’adattarsi e sopravvivere a prevalere, uno schiaffo a tutte le narrazioni fiabesche che tanto ci piacciono. Ma il solo sopravvivere non paga, e ce lo dirà James Heller.

Il Cavaliere Bardo

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