martedì 11 giugno 2013

Curtain fall: Bioshock Infinite

Videogame-Review-Reloaded Presenta un nuovo articolo a cura del Blog La Bottega del Bardo.

ATTENZIONE!: Per chiunque non abbia finito BioShock Infinite è estremamente rischioso leggere quanto segue, in quanto contiene alcuni spoiler sulla trama del gioco. Se ancora non siete riusciti a finirlo, abbassate la difficoltà al minimo e raggiungete il finale prima di leggere.


 Chiunque sia passato per la vecchia PlayStation 2 ricorderà sicuramente il primo episodio della trilogia di Prince of Persia dedicata alle Sabbie del Tempo. La prima battuta del gioco, pronunciata dal Principe in persona, era “Molti credono che il Tempo sia come un fiume, che scorre lento in un’unica direzione. Io l’ho visto e posso assicurarti che si sbagliano: il Tempo è un mare in tempesta.
Penserete: è tutto molto interessante, ma perché ci racconti questo, Cavaliere Bardo? Perché la frase che ho appena citato è la perfetta descrizione di BioShock Infinite. Non compare subito come ovvio, anzi per rifletterci davvero bene tocca fare una seconda run della storia, ma l’idea alla base di Infinite è la spiegazione perfetta di tutti i poteri profetici: con questi non vedi ciò che sarà, ma ciò che è probabile che sia. Alla luce di questo, tutto acquisisce significato, anche la cosa di Booker DeWitt che torna in vita e ci permette di riprovare: per ogni protagonista che fallisce ce ne sarà sempre un altro pronto a sostituirlo e ad andare un filo più avanti. Ecco perché, per certi versi, Comstock perde: non vuole, o per meglio dire rifiuta, di capire che è solo questione di tempo prima che uno di questi Booker (cioè il nostro) arrivi fino in fondo. E’ solo colpa del suo fanatismo ed egoismo se tutti si ritrovano in un simile pasticcio e i “fratelli” Lutece sono lì per dimostrarlo. Questi due non sono né paradossi né pazzoidi: sono probabilità del 50% l’uno dell’altra.
Ma torniamo ad Elizabeth. Segregata in una torre come una Raperonzolo fuori contesto, subito fugge quando se ne presenta l’occasione di Booker. La relazione che si instaura tra i due non è chiara, eppure è chiaro che è come se si conoscessero da sempre. Bisognerà attendere il finale per comprendere cosa li lega per davvero, che ci verrà detto con una chiarezza immane e sconvolgente. Anche lei è a metà tra due mondi, ma non è nata in uno solo e poi si è spostata, lei è letteralmente divisa in due. Il finale, quindi, rappresenta la perfetta coronazione di tutti questi fattori: il cerchio che sembrava destinato a girare su se stesso all’infinito alla fine si rompe proprio grazie all’eccezionalità di Elizabeth: lei, sapendo che qualcosa di rotto si può sempre aggiustare, non lo spezza, ma lo cancella completamente, sparendo inevitabilmente nel processo.
Gli ultimi fotogrammi del gioco lasciano però adito a qualche dubbio. Booker si risveglia nel suo ufficio improvvisamente ringiovanito (c’è un calendario che indica 1893, quindi ha 19 anni) e apre la porta della camera di sua figlia. Non ci viene rivelata la presenza o meno della piccina nella culla, tuttavia le possibilità sono due. La prima è che essendo stato cancellato il cerchio, ma non DeWitt, in un altro universo sia nato nuovo Booker ormai libero dai condizionamenti che avevano afflitto tutte le sue precedenti iterazioni, e quindi libero di ricominciare una nuova vita; la seconda, più inquietante, è che il cerchio sia parte integrante dell’esistenza di Booker stesso, condannandolo di fatto ad un’ulteriore espiazione. Ken Levine (creatore del  gioco) non ci dirà mai quale di queste due ipotesi è vera, ma ripensandoci è meglio così, lasciare che l’inferenza di ciascuno di noi tappi il buco sapientemente lasciato dalla narrazione e ci renda un altro po’ più protagonisti. All’ universo non piace mescolare le carte, ma noi umani siamo sempre stati restii a seguire i suoi dettami.


Il Cavaliere Bardo

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