Videogame-Review-Reloaded Presenta un nuovo articolo a cura del Blog La Bottega del Bardo.
ATTENZIONE!: Per chiunque non abbia
finito BioShock Infinite è estremamente rischioso leggere quanto
segue, in quanto contiene alcuni spoiler sulla trama del gioco. Se ancora non
siete riusciti a finirlo, abbassate la difficoltà al minimo e raggiungete il finale
prima di leggere.
Penserete:
è tutto molto interessante, ma perché ci racconti questo, Cavaliere Bardo? Perché
la frase che ho appena citato è la perfetta descrizione di BioShock Infinite.
Non compare subito come ovvio, anzi per rifletterci davvero bene tocca fare una
seconda run della storia, ma l’idea alla base di Infinite è la spiegazione
perfetta di tutti i poteri profetici: con questi non vedi ciò che sarà, ma ciò che è probabile che sia. Alla luce di questo, tutto acquisisce
significato, anche la cosa di Booker DeWitt che torna in vita e ci permette di
riprovare: per ogni protagonista che fallisce ce ne sarà sempre un altro pronto
a sostituirlo e ad andare un filo più avanti. Ecco perché, per certi versi,
Comstock perde: non vuole, o per meglio dire rifiuta, di capire che è solo
questione di tempo prima che uno di questi Booker (cioè il nostro) arrivi fino
in fondo. E’ solo colpa del suo fanatismo ed egoismo se tutti si ritrovano in
un simile pasticcio e i “fratelli” Lutece sono lì per dimostrarlo. Questi due
non sono né paradossi né pazzoidi: sono probabilità del 50% l’uno dell’altra.
Ma
torniamo ad Elizabeth. Segregata in una torre come una Raperonzolo fuori
contesto, subito fugge quando se ne presenta l’occasione di Booker. La
relazione che si instaura tra i due non è chiara, eppure è chiaro che è come se
si conoscessero da sempre. Bisognerà attendere il finale per comprendere cosa
li lega per davvero, che ci verrà detto con una chiarezza immane e
sconvolgente. Anche lei è a metà tra due mondi, ma non è nata in uno solo e poi
si è spostata, lei è letteralmente divisa in due. Il finale, quindi, rappresenta
la perfetta coronazione di tutti questi fattori: il cerchio che sembrava
destinato a girare su se stesso all’infinito alla fine si rompe proprio grazie
all’eccezionalità di Elizabeth: lei, sapendo che qualcosa di rotto si può
sempre aggiustare, non lo spezza, ma lo cancella completamente, sparendo
inevitabilmente nel processo.
Gli
ultimi fotogrammi del gioco lasciano però adito a qualche dubbio. Booker si
risveglia nel suo ufficio improvvisamente ringiovanito (c’è un calendario che
indica 1893, quindi ha 19 anni) e apre la porta della camera di sua figlia. Non
ci viene rivelata la presenza o meno della piccina nella culla, tuttavia le
possibilità sono due. La prima è che essendo stato cancellato il cerchio, ma
non DeWitt, in un altro universo sia nato nuovo Booker ormai libero dai
condizionamenti che avevano afflitto tutte le sue precedenti iterazioni, e
quindi libero di ricominciare una nuova vita; la seconda, più inquietante, è
che il cerchio sia parte integrante dell’esistenza di Booker stesso, condannandolo
di fatto ad un’ulteriore espiazione. Ken
Levine (creatore del gioco) non ci dirà mai quale di queste due ipotesi è vera, ma ripensandoci è
meglio così, lasciare che l’inferenza di ciascuno di noi tappi il buco
sapientemente lasciato dalla narrazione e ci renda un altro po’ più
protagonisti. All’ universo non piace mescolare le carte, ma noi umani siamo
sempre stati restii a seguire i suoi dettami.
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